VERMIGLIO
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Gran premio della giuria – Venezia 81
Maura Delpero, brava, bravissima. Dopo il pluripremiato Maternal (2019), si volge – e senza deflettere dal femminile, e dal (pluri)materno – al padre, il proprio, rintracciando nel vissuto avito un piccolo mondo antico e le improntitudini dell’oggi, ovvero dell’universale umano. Una sorta di Paternal, mai però paternalistico, istruito dalla morte – e dal sogno di lui bambino nella casa di famiglia – del padre ed elevato a poema esistenziale, mai condannato all’antropologico o al naturalistico, per quanto entrambi contemplati con rigore filologico.
L’albero degli zoccoli, apparentava il direttore della 81 Mostra Alberto Barbera nel presentare questo Vermiglio, ma c’è anche, accanto alla finesse dei bambini e adolescenti di Doillon e Philibert, un esprit de geometrie da Haneke, ossia una coreografia stilistica e morale parimenti del consesso. Modera e insieme smobilita, Delpero, asseverando un cinema-cinema, anche laddove l’immagine sembra desistere dall’imperativo formale – e il dialogo preponderare.
Il microcosmo non è mai micro, la famiglia è un coro con solisti non perentori o, almeno, non invalidanti: Chopin, Schubert e Vivaldi, che provvede le quattro stagioni in cui la guerra, la Seconda, finisce, ma la pace non viene tra i Graziadei, prevalente gineceo guidato da padre-maestro Cesare (Tommaso Ragno, super) e tante donne, donnine e bambine, ognuna con aggetto e, alla bisogna, rigetto del destino già scritto.
Si va nel quotidiano, nell’ordinario, ma sempre complesso, laborioso quanto interrogante – i bambini nei letti condiviso che chiedono, chiedono e ancora. Il bellico sfiora “appena”, ma Vermiglio, contiguo al più famoso Passo del Tonale, non è imbelle: Lucia (Martina Scrinzi) aspetta da un milite, a lei in definitiva, ignoto; la madre Adele (Roberta Rovelli) ha da poco partorito il nono figlio; la sorella Ada (Rachele Potriche, neofita di classe) si divide tra fede e pulsione; l’altra sorella Flavia (Anna Tahler) è brava a scuola e, decide il babbo, andrà al collegio; il fratello Dino (Patrick Gardner) non è proprio nelle grazie del magister familias, che addirittura lo boccia.
Si va, ancora, in una paratassi senza sciatteria alcuna, nella contemplazione agreste e devota che a Olmi associa Piavoli, nella distensione che prepara all’epifania, alle epifanie senza clamore, con la polifonia familiare che è flusso di coscienza e, diremmo, Zeitgeist.
Nelle convergenze parallele che queste vite di uomini e donne non illustri convocano in amore, dolore, r-esistenza, Delpero iscrive un’ipotesi cinema, ehm, che sintetizza Maternal, e la previa esperienza documentaristica, con maggiore ambizione, libero arbitrio e calma, giammai piatta, speculazione, dove il desiderio, che è poi cinema in purezza, non soccombe alla necessità ma si affina.
Ottima la direzione d’attori, preziosa la tenuta anti-spettacolare, mirabile la poesia di guerra e pace, abbiamo una signora autrice: Maura Delpero, meritoriamente in Concorso a Venezia 81 con Vermiglio.