OASIS: SUPERSONIC
TRAILER
Knebworth, 1996. Gli Oasis suonano di fronte a 250.000 persone. Ma come si è arrivati sin qui? Dai sobborghi di Manchester, in cui tre fratelli sono stati tenuti lontano dagli abusi di un padre alcolista e cresciuti dalla madre, tra calcio, Beatles e punk rock. Quando Liam Gallagher mette su una band insieme a degli amici, non impiega molto tempo a coinvolgere il fratello maggiore Noel. E questi non impiega molto a prendere in mano il gruppo, scoprendo di essere nato per scrivere grandi canzoni. Nel giro di un anno e rotti gli Oasis saranno sulla bocca e negli stereo di tutto il mondo.
Durante l’intera carriera gli Oasis sono stati accompagnati da una sensazione di stupore. Il loro, anzitutto: lo stupore di hooligan delle case popolari trasformati in rockstar. E il nostro, di spettatori costretti ad ammettere che questi spesso impresentabili figuri fossero capaci come nessun altro di “conquistare il mondo con il rock’n’roll”. Un concetto antico, mitologico, esagerato per tutti tranne che per i fratelli Gallagher che, per un breve ma intenso periodo, riescono davvero nell’intento. Il documentario di Mat Whitecross ha inizio proprio con il concerto di Knebworth del 1996, davanti a 250.000 spettatori accorsi per vedere la rock band del momento. Un risultato incredibile, e probabilmente irripetibile, considerato come la fruizione della musica e l’aggregazione in eventi pubblici siano mutate irrimediabilmente in venti anni.
La riflessione intrisa di nostalgia sul mutamento sociale e sulla sostanziale cessazione del rock come fenomeno di massa è uno dei protagonisti invisibili della pellicola di Whitecross, con qualche esplicito riferimento alla questione proprio da parte di Noel Gallagher, che parla di “ultimo assembramento spontaneo di persone di questa entità, prima che subentrasse internet”. Ora non sarebbe più possibile forse, in un mondo dominato dai dispositivi digitali e da celebrità che spesso antepongono l’immagine al contenuto.
Ma, a dominare quantitativamente il ricordo della repentina ascesa degli Oasis dalle stalle alle stelle, non sono certo dichiarazioni di questo tenore: nel viaggio che Oasis: Supersonic conduce a ritroso, per tornare infine a Knebworth e chiudere il cerchio, sono protagonisti i Gallagher e tutto il loro scurrile disprezzo per ogni forma di vita. I fratelli si insultano, si picchiano, sfottono tutto e tutti. La rivisitazione delle loro stilettate aiuta a far rivivere il carrozzone mediatico che accompagnava la metà degli anni Novanta, con aneddoti degni di Trainspotting o di This is Spinal Tap: risse con tifosi di calcio olandesi, litigate con tanto di mazze da cricket, per sorvolare sugli insulti violenti a colleghi come Blur, Thom Yorke o Coldplay, resi proverbiali negli anni dai media britannici. Proprio i Blur di Damon Albarn sono i grandi assenti del documentario, specie considerato il clamore della rivalità nata tra loro e gli Oasis, culminata con un augurio di morte da parte di Noel Gallagher ai “colleghi”, e con l’uscita in contemporanea dei relativi album singoli delle band, in segno di aperta sfida.
A parte questa esclusione evidente, Whitecross cerca di coprire tutto quanto avvenuto tra il 1993 e il 1996, concentrandosi sull’ascesa verso il paradiso del gruppo e fermandosi prima del suo declino, rapido quasi quanto la salita. Lo stile richiama quello del produttore Asaf Kapadia e dei suoi Senna e Amy, senza immagini dei Gallagher o degli altri intervistati nel tempo presente: quel che si vede appartiene al passato, quel che si sente alle riflessioni del presente.
Se il materiale di grande importanza storica, come i concerti degli inizi in cui Alan McGee dell’etichetta Creation sceglie di scritturare i due Gallagher, è fondamentale per il musicologo e per il semplice appassionato, Oasis: Supersonic ha la capacità di interessare un target ben più ampio, grazie alla meticolosa ricostruzione di un’epoca vicina temporalmente a noi, ma resa lontanissima dai cambiamenti tecnologici intercorsi. E al racconto esemplare di come il talento artistico spesso si nasconda nelle menti più impensate.