IL MAESTRO CHE PROMISE IL MARE

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IL MAESTRO CHE PROMISE IL MARE
Tra presente e passato, Patricia Font ci mostra la passione per l'insegnamento. Donandoci un messaggio universalmente
IL MAESTRO CHE PROMISE IL MARE
(El Mestre Que Va Prometre El Mar)
Regia: Patricia Font
Cast: Enric Auquer, Laia Costa, Luisa Gavasa, Ramón Agirre, Milo Taboada
Genere: Biografico
Durata: 105 min. - colore
Produzione: Spagna (2023)
Distribuzione: Officine Ubu
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Antoni Benaiges è un maestro delle scuole elementari di origini catalane a cui viene assegnata una pluriclasse a Bañuelos de Bureba (Burgos). I suoi metodi di insegnamento innovativi e il fatto di non nascondere il proprio ateismo gli alienano le simpatie del parroco e del sindaco ma non quelle degli alunni che lo sentono vicino alle loro speranze e ai loro sogni. Uno dei quali è quello di poter vedere il mare.

Un film dallo straordinario successo in Spagna che ha un messaggio universalmente valido.

Patricia Font dirige un film in continua alternanza tra il presente e il passato. Nel presente una nipote (già madre) va alla ricerca della sepoltura di colui che si prese cura del nonno quando era bambino, sperando di trovarlo in una delle purtroppo numerose fosse comuni risalenti alla guerra civile. Nel passato assistiamo alla vita e all’attività didattica di quella persona, un maestro che pagò con la vita il non conformarsi alle imposizioni del franchismo rampante. Questo duplice piano di narrazione è già di per sé significativo. Ci ricorda il dovere della memoria in un presente in cui il revisionismo storico si approfitta di amnesie collettive indotte dal flusso comunicativo in cui il fake prevale.

Antoni Benaiges è davvero esistito e veramente ha promesso il mare a dei bambini che potevano solo immaginarlo. Quella promessa aderiva perfettamente al suo progetto didattico e pedagogico. Per comprendere meglio questo aspetto è bene ricordare che Benaiges applicava il ‘metodo naturale’ elaborato dal pedagogista Célestin Freinet che prevedeva una partecipazione costante da parte degli alunni, dettata dai propri bisogni, al processo di conoscenza. Freinet riteneva fondamentale l’utilizzo in classe della tipografia per favorire l’apprendimento della scrittura nell’ambito di una cooperazione degli allievi con il maestro e tra di loro. Ad uno spettatore odierno, abituato alla scrittura su computer, potranno sembrare metodologie preistoriche quelle che invece erano così innovative all’epoca da destare l’ostilità più bieca e cieca da parte della componente più retriva della società. Quasi tutti i quaderni stampati nella classe di Benaiges vennero bruciati pubblicamente perché realizzati nell’ambito di un processo di insegnamento considerato ‘sovversivo’.

Font riesce a restituirci il clima di quell’epoca mostrandoci la passione per l’insegnamento di Antoni (i docenti che ne sono privi producono più danni che vantaggi per i propri allievi erodendo in loro il piacere dell’apprendere) e facendoci leggere sul volto dei suoi alunni, anche dei più restii, la gioia per ogni nuova scoperta. Ma, con il percorso compiuto da Ariana, la nipote in cerca del passato del nonno prima che costui lasci questa terra, ci ammonisce sulla vigilanza. Benaiges insegna e viene messo nel mirino mentre il franchismo sta covando sotto la cenere alimentandosi con le posizioni dei cosiddetti ‘benpensanti’. La Storia può ripetersi e certe lezioni andrebbero apprese affinché ciò non torni ad accadere.