IL GRINCH
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Al di sopra della città di Chissarà, dentro una grotta profonda e confortevole, vive il Grinch col suo cane Max. Verde, peloso e solitario, il Grinch odia il Natale, ne odia le assemblee di persone, lo spirito allegro e cordiale e soprattutto i canti. Per cinquantatré lunghi anni l’ha sopportato, ma ora non ce la fa più e prende una decisione radicale: ruberà il Natale ai ChiNonSo. Nottetempo, porterà loro via tutti i regali, gli addobbi, la felicità. Allora sì che smetteranno di cantare. O ancora no?
Se fino ad oggi il Grinch al cinema voleva dire Jim Carrey nel film escheriano di inizio millennio firmato Ron Howard, da questo momento in poi si potrà nutrire un’altra preferenza, per questo ritorno al disegno animato, dai tratti simili alle illustrazioni dello stesso Theodor Geisel in arte Seuss, ma in fondo più morbido e vicino ad un racconto di Natale tradizionalmente inteso.
Alla favola anticonsumistica, si aggiunge qui anche una breve backstory alla Tim Burton, responsabile dell’atteggiamento del Grinch, che gli impedisce di apparire veramente meschino: insicuro, solo soprattutto, ma non davvero senza cuore. Piuttosto vicino ad un certo Gru, che, come lui, ne sa qualcosa di piani di furti in grande stile e di piccole creature di cui prendersi cura.
Il personaggio di casa Meledandri, che in italiano ha la voce di Alessandro Gassmann e in versione originale quella di Benedict Cumberbatch, è insomma un tenerone fin dall’inizio: brontola, fa qualche dispetto, ma non si può non fare il tifo per lui. E lo stesso vale per Cindy-Lou Chi, attorno alla quale il film costruisce una vicenda da vera e propria coprotagonista, un piccolo mondo fatto di una madre stoica e disperatissima, un migliore amico, una banda di supporto e un sogno nel cassetto, destinato ad incontrarsi e scontrarsi con quello del Grinch la fatidica notte di Natale.