Hotel Transylvania 3 – Una vacanza mostruosa
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Drac non osa ammetterlo con nessuno, tantomeno con la luce dei suoi occhi, la figlia Mavis, ma sogna un nuovo incontro con una donna, dopo tanti secoli di vedovanza. Vedendolo stressato senza intuirne il vero motivo, Mavis lo coinvolge in una lussuosa vacanza di famiglia, rigorosamente tutta mostri (più Johnny), su un’immensa nave da crociera. Il cinico Drac non salta di gioia: non c’è nulla che il suo hotel sulla terraferma abbia da invidiare a quel presuntuoso transatlantico. O forse sì. Perché il capitano della nave, l’umana Ericka, lo ha colpito al cuore. Possibile che Drac abbia fatto “zing”?
Questa volta Drac è protagonista assoluto, ma Mavis non è mai troppo lontana, soltanto un passo indietro, perché la cifra della serie è proprio nel loro legame, esagerato e motore di guai, ma sempre al fine o per causa di (troppo) bene. Tutt’intorno, una comunità di mostri sempre in crescita (come i cuccioli della coppia di lupi mannari) in quantità e varietà, che, lungi dall’essere contorno o contesto, sono in realtà gli arti, le code, le antenne e i tentacoli della creatura Hotel Transylvania: lo spazio in cui Tartakovsky dà sfogo al suo talento più puro di illustratore folle. Ci vorrebbero dei fermo immagine ad ogni inquadratura per apprezzarne la composizione e l’inventiva, i colori, le espressioni; perché, come un abile DJ, Tartakovsky mixa gli ingredienti per estrarne un paesaggio visivo originale e ormai riconoscibilissimo.
Scandita da tre tappe – il vulcano subacqueo, l’isola deserta e la città perduta di Atlantide -, e anticipata da un volo aereo affidato ad una compagnia di Gremlins che vale da solo il prezzo dell’ingresso in sala, la crociera sulla “love boat” su cui viaggiano Drac e famiglia è davvero un viaggio sulla nave dell’amore, per tutte le creature, e un inno ai loro incroci, che fanno il mondo più ricco e mirabolante. L’unico essere realmente disgustoso, il vero mostro del film, è il bisnonno di Ericka: umano non più umano, conservatosi a forza (la forza dell’odio) dentro un polmone di rame in stile steampunk. Lui sì che mette i brividi. Il resto del film sprigiona soltanto “good vibrations” e nel finale spara i fuochi d’artificio.