Florence
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New York, 1944. Florence Foster Jenkins è una melomane facoltosa che si crede dotata per il canto. Fiaccata da una malattia che cova dietro le perle e nella penombra della sua stanza, Florence decide di perfezionare il suo ‘talento’ con un maestro compiacente. Perché marito ed entourage hanno deciso di tacitare la sua mediocrità. Cantare per Florence non è un capriccio ma una terapia che le permette di vivere pienamente, ricacciando i fantasmi. Ma quello che doveva essere un trastullo colto per apprendere il repertorio classico, diventa il desiderio incontenibile di trovare un palcoscenico. Maestro e consorte si prestano al gioco e l’accompagnano, uno al piano, l’altro in attesa dietro le quinte, sulle tavole celebri della Carnegie Hall. Nella speranza che il concerto non volga in fiasco.
Tutto era già stato detto su Florence Foster Jenkins: il suo desiderio bruciante di diventare cantante, la sua incapacità di cantare, il lavoro accanito per apprendere la tecnica, il silenzio complice del marito, il concerto fallimentare, la sua morte. Nel 2015 esce in sala Marguerite, dramma ispirato al celebre soprano (senza voce) americano. Xavier Giannoli si prende qualche libertà col modello originale ma è facile rintracciare la sua storia sotto la maschera della finzione e l’ingenuità eccentrica della superba Catherine Frot. Traslocata nella Parigi degli anni Venti e delle avanguardie, l’autore francese ricaccia la tentazione di cedere alla caricatura e piega il soggetto alla sua poetica: l’ossessione per la metamorfosi, la trasfigurazione, la disfunzione narcisistica, la reinvenzione di sé.
Più fedele, l’adattamento di Stephen Frears restituisce alla protagonista il suo quadro spazio-temporale, la New York degli anni Quaranta, recupera ai personaggi i nomi di chi li ha ispirati e allega nei titoli di coda le foto della vera Florence Foster Jenkins, del suo consorte St. Clair Bayfield e del suo pianista Cosmé McMoon. Diversi nelle intenzioni e nella realizzazione, Marguerite e Florence condividono nel titolo e nello svolgimento una donna che ha vissuto una vita fuori norma inseguendo la sua inclinazione fatale, disastrosa e istrionica per l’arte lirica. Partendo da un personaggio reale e a dispetto della sua fantastica irrealtà, Frears si accende per l’ossessione di Florence e si espone a una comparazione, che pareggia con stile. Il regista britannico pesca nella sua filmografia e dice la sua su questa borghese grottesca, depositaria di un’enorme fortuna, incredibilmente resiliente e totalmente folle. Come ma diversamente dal suo predecessore, Frears non si accontenta di realizzare un biopic e prosegue la riflessione che aveva già avviato con Lady Henderson presenta, dissertando di arte e del ruolo che giocano gli artisti (anche mediocri) nella società. Una società ancora una volta stretta nella morsa della guerra. La Grande Guerra ieri, il secondo conflitto mondiale oggi. L’imprenditrice teatrale di Judi Dench (Lady Henderson presenta) e la chanteuse naïf di Meryl Streep (Florence) sono convinte che l’arte possa sostenere e rallegrare le truppe impegnate sul fronte. Ma per Florence la battaglia che infuria nelle trincee del Vecchio Continente è soprattutto la manifestazione di un conflitto interiore, di un limite imposto dalle sue corde vocali.
Incarnata da Meryl Streep con gesto manierato e consolidato, Florence è una sopravvissuta a un matrimonio combinato, a una malattia ereditata dall’ex consorte, alla solitudine che la ghermisce nella camera da letto, alla perfetta incoscienza della sua splendida voce falsa, ai tradimenti del nuovo compagno, l’aristocratico charmeur interpretato da Hugh Grant, che trova un altro ruolo a misura del suo cambiamento interrogandoci daccapo sulla longevità di un artista. Frears, alla maniera di St. Clair Bayfield, protegge la sua eroina, ‘corrompe’ i critici e convince lo spettatore del valore del suo canto. E poco importa se la nota non è quella giusta. Se la prima categoria non si piega reputando Florence inconciliabile con un sistema stabilito di criteri tecnici ed estetici, la seconda abbraccia commossa il sogno di Florence, la purezza del suo desiderio. Come Frears, ci scopriamo tutti innamorati, per ridere troppo a lungo di lei, un fenomeno da freak show che s’ignora magnificamente.
Divertissement sentimentale con una fibra comica pronunciata e una lacrima trattenuta, Florence si accorda con Meryl Streep, Hugh Grant, Simon Helberg, attori impareggiabili e antitesi di una donna investita totalmente dal suo desiderio, priva del loro dono ma la cui ingenuità e autenticità ne definiva tutto lo charme. Il motore, in Marguerite e Florence, è la fiducia. La fiducia in qualcuno. Ma se il sostegno di Georges Dumont per Marguerite Dumont è condizionato e affatto sincero, quello di St. Clair Bayfield per Florence è assoluto, indecifrabile e sposta il baricentro del personaggio di Hugh Grant, che sublima il ridicolo e converte la mediocrità in sentimento. Risvegliata dal suo sogno, Florence Foster Jenkins morirà colpita al cuore dai detrattori. Perché non c’è niente che centri il cuore come il grande talento o l’assoluta mancanza di talento