CARO DIARIO
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Caro diario. Tre storie: 1) “In Vespa”: traversata di Roma, semideserta in agosto, che termina a Ostia là dove fu ucciso Pasolini; 2) “Isole”: gita alle Eolie; 3) “Medici”: rapporto su un’odissea sanitaria che Nanni Moretti ha vissuto a causa di un morbo di Hodgkin (sistema linfatico) che una catena di medici aveva diagnosticato in altro modo. Premio per la regia al Festival di Cannes.
Nonostante le apparenze, e anche se le confidenze non mancano, è il film in cui Nanni Moretti parla meno di sé: la morte di P.P. Pasolini è un vuoto che tocca molti di noi; quel che racconta o inventa delle vacanze insulari corrisponde alla realtà; persino il 3° capitolo, il più autobiografico, è lo specchio di un dramma collettivo. Stilisticamente il più maturo, fisico, inventato dei suoi film. Il film è stato premiato al Festival di Cannes, ha vinto un premio ai Nastri d’Argento, ha vinto 2 David di Donatello. [IlMorandini]
“Nel primo e nel secondo capitolo di “Caro Diario” la cinepresa ubbidisce a un movimento costante, mai ansioso. Agli elementi paesaggistici dà la stessa importanza che riserva ai personaggi quasi che, dalla ricerca iniziata dell’io narrante, essi derivassero una nuova vitalità. Anche questo dimostra che, della tetraggine che un tempo lo accompagnava, Michele Apicella si è liberato (o quasi). Al critico cinematografico che gli ha consigliato di non perdere un film americano tutto sadismo augura di provare affanno – magari rimorso se ne fosse capace – per le balordaggini che prende per buone. Moretti, insomma ne ha abbastanza di chi ci inganna con pretesti intellettualistici. Guardate con quanta estrosità, nel capitolo intitolato “Isole”, descrive lo scrittore di troppo successo nascostosi per tedio in una casa e in un’isola scomodissime, o il sindaco che progetta di rimodellare Stromboli, o il fanatico studioso di Joyce che, infine, scopre la sua vocazione autentica e si lascia divorare dal virus delle “soap-operas”. O ancora, sorpresi con tratto godibilissimo, i genitori con figlio unico che si fanno plagiare dal piccolo despota come ieri si abbandonavano senza remore alle ideologie di moda. Non si sa bene se Apicella – e con lui il regista che ne muove i fili – si stia allontanando o avvicinando a queste persone di conoscenza, senza dubbio petulanti e spesso noiose. Ma, cosa da sottolineare, egli oppone ai loro attacchi frontali e ai loro aggiramenti amabilità e gentilezza. Straordinarie virtù. Il solo proporsele è gran merito.” (Avvenire, Francesco Bolzoni, 19/11/1993).