ANSELM
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Come approcciare l’opera proteiforme di Anselm Kiefer che evolve costantemente e mette in discussione con altrettanta costanza l’oscuro passato della Germania? Artista tedesco, nato l’8 marzo del 1945, due mesi prima della capitolazione nazista, è cresciuto in un Paese devastato dalla guerra che lo ossessiona e diventa il suo soggetto di predilezione. La domanda è sempre la stessa: che fare del passato del suo Paese natale? Per Kiefer l’onta è enorme, il sentimento di irrimediabilità insanabile, ma non si tira indietro e fa fronte all’incredibile crollo della grandezza culturale tedesca. Combatte corpo a corpo e realizza una delle possibilità dell’arte, che è quella di rivivere la storia, di viverla nuovamente, di penetrare al cuore di un evento che non poteva essere evitato per trovare le tracce di un’umanità perduta per sua stessa volontà. Kiefer non ne fa soltanto una questione di pensiero, va al cuore delle cose, prova, sperimenta, si mette in gioco e al centro di quello che non ha impedito la barbarie e forse l’ha resa possibile. Dipinge e ridipinge i miti fondatori, i monumenti della Germania distrutta, i corpi perduti perché negati dal mondo, evoca i poemi nati dalle ceneri.
A partire dagli anni Settanta, si butta a capofitto nella materia e non esista nell’avvenire a spostare le montagne, come ha fatto intorno alla sua residenza nel sud della Francia, scavando colline e costruendo torri. Eppure è sempre sull’orlo dell’equivoco, dell’interpretazione sbagliata. Questo accadeva soprattutto al debutto della sua carriera, oggi è un artista che gode di un credito particolare, raramente criticato, anche dagli avversari più risoluti della sua arte. Il suo viaggio comincia negli anni Settanta con le sue prime fotografie. A ventiquattro anni scatta una serie di foto in tutta Europa, nei luoghi toccati dalla guerra e dentro l’uniforme del padre. Posa col braccio destro alzato, il saluto hitleriano, per assumersi la responsabilità di quello che i suoi compatrioti hanno crudelmente dimenticato. “Occupazioni”, definizione delle “azioni” di Kiefer, era già una messa in discussione, una presa in carico delle domande poste dalla storia attraverso l’esperienza personale.
Di nuovo allora, come approcciare questo artista monumentale che ha fatto della monumentalità la sua firma? Perché da Kiefer tutto è enorme: le tele, sempre più grandi, assomigliano a campi di battaglie disertati, le architetture fasciste, i miti fondatori del romanticismo tedesco (Parsifal, Siegfried, La battaglia della foresta di Teutoburgo), i loro motivi (serpenti, spade…), il significato dimostrativo delle sue sculture, il loro numero, le loro dimensioni, la maniera con cui gioca con i materiali (cenere, piombo, sabbia, cemento, piante e pittura, nel senso più tradizionale del termine). Non sorprende che Anselm Kiefer sia stato il primo artista invitato all’esposizione “Monumenta” a Parigi nel 2007, è un pittore XXL, tutto è troppo grande e il visitatore un lillipuziano perduto nella sua grandiloquenza. Soltanto Wim Wenders, che ha conosciuto come lui il pesante silenzio del dopoguerra e poi la ricostruzione e infine la riunificazione, poteva anche solo immaginare di farne un ritratto. Il percorso del regista nell’arte degli altri, prosegue e si installa in Francia e in quell’atelier gigantesco che è Barjac, immenso terreno di sperimentazione e luogo che testimonia la ricerca demiurgica di Kiefer.