Interstellar
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Una piaga sta uccidendo i raccolti della Terra, da diversi decenni l’umanità è in crisi da cibo e quasi tutti sono diventati agricoltori per supplire a queste esigenze. La scienza è ormai dimenticata e anche ai bambini viene insegnato che l’uomo non è mai andato sulla Luna, si trattava solo di propaganda. L’ex astronauta Cooper, mai andato nello spazio e costretto a diventare agricoltore, scopre grazie all’intuito della figlia che la NASA è ancora attiva in gran segreto, che il pianeta Terra non si salverà, che è comparso un warmhole vicino Saturno in grado di condurli in altre galassie e che qualcuno deve andare lì a cercare l’esito di tre diverse missioni partite anni fa. Forse una di quelle tre ha scoperto un pianeta buono per trasferire la razza umana e in quel caso è già pronto un piano di evacuazione. Andare e tornare è l’unica maniera che Cooper ha di dare un futuro ai propri figli.
Questa volta c’è 2001: Odissea nello spazio nel mirino di Christopher Nolan. Interstellar non fa mistero di volersi misurare in quel campo da gioco e lo dice più volte con le immagini in quelle che sarebbe riduttivo chiamare citazioni ma sembrano più dichiarazioni d’intenti, come se il film di Kubrick fosse un genere a sè e Interstellar ne stesse solo rispettando le regole. La differenza tra i due sta però nel fatto che il regista di Inception e Memento è il massimo esempio di cineasta-ingegnere, un abile costruttore di ingranaggi dalla complessità impressionante che con invidiabile chiarezza corrono verso una risposta finale. Le domande poste dai suoi film non rimangono quasi mai appese (la trottola di Inception è una delle poche eccezioni in un film che comunque è pieno di risposte) e anche Interstellar, arrivato là dove Kubrick si fermava, avanza per fornire delle risposte che inevitabilmente risultano più povere di un indeterminato mistero. Per Nolan i misteri non sono nella fine del viaggio ma nelle situazioni che l’hanno messo in moto, sono da rintracciarsi nei molti errori e nelle molte menzogne dei personaggi (quasi tutti sbagliano qualcosa, quasi tutti ad un certo punto mentono a se stessi o agli altri) e nelle intuizioni sentimentali che hanno, tutto comunque parte di un puzzle perfetto.
Quel che ogni volta questo autore ci fa riscoprire è il piacere dell’audacia. Non c’è nessuno oggi capace di osare così tanto, nessuno così determinato a non voler essere come gli altri. Il futuro messo in scena da Interstellar non somiglia a nessuno dei molti già visti, è uno in cui una società di diverse decine di anni avanti a noi vive in un passato recentissimo (sembra la fine degli anni ’90), apparentemente idilliaco ma intimamente disperato. L’uomo ha smesso di osare e, essendo a rischio estinzione, ha cominciato a conservare ma in questo ritorno alla vita bucolica, tutta cieli blu e campi coltivati, è collegato un profondo senso di sconfitta, tanto quanto uno di esaltazione è invece legato alle potenzialità della scienza e della tecnologia (mai nemica ma quasi più amica ed empatica dei propri simili), un assunto che già da solo ribalta i luoghi comuni del cinema per ambire ad un senso di meraviglia ed avventura che non siano figli solo dell’eroismo individuale del cinema americano (che comunque non manca) ma della semplicità spielberghiana, quella capacità invidiabile di suscitare i sentimenti più basilari quali meraviglia, desiderio e stupore.
In maniera non diversa è audace la tecnica con cui il regista, già da Inception, mostra di avere un’idea propria dell’uso narrativo del montaggio parallelo, lavorando sulla suspense tra due linee di trama nello stesso momento (quella dell’astronauta Cooper e della figlia Murph o in certi casi quelle degli eventi che stanno accadendo contemporaneamente ai diversi astronauti) o come intenda il tempo. In quasi ogni suo film Nolan ha dimostrato che il cinema può raccontare storie intrecciandone la trama a partire dalla sovrapposizione di temporalità diverse, trovando così percorsi nuovi anche per parabole canoniche. In Interstellar il tempo degli astronauti non è quello sulla Terra, i loro eventi si svolgono in momenti differenti ma lo stesso comunicano di continuo e in maniere sempre nuove, rinfrescando espedienti di suspense ormai usurati. È parte del fascino da puzzle dei film di Nolan ma più in grande è anche la dimostrazione di una vivacità narrativa e un’originalità registica fortissime che impongono un passo diverso ai suoi film e costringono lo spettatore al piacere della concentrazione. I tempi del film seguono un ritmo tutto proprio, con uno stacco vengono saltati diversi mesi, piazzando ellissi là dove altri avrebbero indugiato (gli astronauti non si preparano? Cosa succede tra l’accettazione della missione e la partenza?) e in altri casi vengono allungati a dismisura momenti su cui altri avrebbero sorvolato.
Che tutto questo accada in un kolossal hollywoodiano è forse la sorpresa più grande che il pavido cinema di questi anni, contento solo delle proprie sicurezze, poteva regalarci.