RAPITO
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CANNES – Chi ha battezzato Edgardo Mortara?
È questa La domanda capitale che scorre sottopelle per l’intero Rapito di Marco Bellocchio, 83 anni e “in uno stato di straordinaria vitalità artistica” secondo il delegato generale di Cannes, Frémaux. È il primo dei tre film italiani in Concorso e narra il caso reale di metà ‘800, avvenuto sotto lo Stato Pontificio di Pio IX, che il 23 giugno 1858 ha prelevato a forza il fanciullo dalla sua famiglia, con la motivazione che – nonostante l’appartenenza religiosa d’origine ebraica – lui avesse ricevuto il battesimo. “Ho l’ordine di prenderlo” secondo indicazioni superiori del Santo Uffizio, così il maresciallo Lucidi irrompe nella casa dei bolognesi Mortara per strappare il bambino, 6 anni, dal nido famigliare.
Un thriller per alcuni versi, un discorso sul potere e l’esercizio dello stesso, sulla religione come superba e ricattatoria, una riflessione sull’infanzia quale tempo della vita in cui viene impressa un’impronta indelebile per il futuro dell’individuo.
Una luce spesso caravaggesca dipinge la visione, in cui fulgore e buio camminano per mano, tra speranza e mistero, o inquietudine, conferendo al film un tratto estetico che è anche simbolico.
Un giorno, un solo giorno, viene concesso ai Mortara prima che il piccolo Edgardo sia portato via, ore febbrili in cui il papà disperato e incredulo ma volitivo – come in tutto il film – cerca un dialogo con monsignor Feletti, padre inquisitore domenicano, che – ieratico – non concede spiragli, e nemmeno troppe parole, se non un assoluto: “vostro figlio è cristiano in eterno”. Il bambino è stato battezzato, dunque deve essere educato alla Fede cattolica, nella Roma pontificia: “tanto potrete vederlo tutte le volte che volete”, concede a chiosa. L’atto sarebbe stato praticato applicando il 60mo canone sancito nel Concilio di Toledo del 633, secondo cui gli ebrei battezzati diventano di fatto cattolici e devono essere educati secondo i precetti della Chiesa romana.
È drammatica, dilaniante, la sequenza in cui Edgardo viene prelevato da casa, con risolutezza, conteso tra le braccia famigliari e quelle militari, col bambino che grida disperato una preghiera terrena: “papà non mi abbandonare!”….
Rapito è una vicenda famigliare, una questione aperta sul potere e sul valore della religione, ma è anche un film storico, in cui – per esempio, ma non solo – assistiamo alla Bologna del 1859 che insorge contro lo Stato Pontificio, tumulto a cui in parallelo viene mostrato Pio XI che, metafora senza equivoci, collassa sulle scale….
C’è certamente un contrasto interiore nell’Edgardo adolescente: simbolica la scena di confine in cui durante una cerimonia ecclesiastica lo stesso aggredisce fisicamente quel Papa che con lui spesso s’è posto in maniera paterna, non senza far correre nelle viscere dello spettatore una certa inquietudine; così come – e qui torna la Storia – Bellocchio mostra anche la Breccia di Porta Pia, dopo l’avanzare verso Roma dell’esercito avanguardista, 1870: una sequenza che, dalla Scala Santa, che il Pontefice percorre in preghiera, porta al Ponte Sant’Angelo, in cui Edgardo – tra incubo e auspicio – come posseduto grida: “buttiamolo nel Tevere ‘sto porco d’un Papa!”.
Non narrato nel film di Bellocchio, ma dato storico: nel 2004, lo scrittore Vittorio Messori, lavorando negli archivi dei Chierici Regolari Lateranensi, scoprì l’autobiografia inedita dello stesso Mortara, poi religioso e missionario, scritta nel 1888, a 37 anni: padre Mortara spiegò la vicenda, facendo un’apologia della Chiesa Cattolica e di Pio IX, Papa diffamato dalla pubblicistica laica ma beatificato poi da Giovanni Paolo II e che, nella percezione del piccolo Edgardo, era stato come un padre.
L’anteprima mondiale del film, nella serata del 23 maggio, al termine della proiezione ufficiale nel Grand théâtre Lumière di Cannes, ha raccolto un consenso tale da riservare 13 minuti di applausi a scena aperta.
Sulla vicenda Mortara anche Steven Spielberg aveva pensato di girare un film.