DALILAND

PROGRAMMAZIONE
TERMINATA
DALILAND
IL CREPUSCOLO DEL MAESTRO SVISCERATO CON CLASSE DA UNA REGIA SOFISTICATA E UN'INTERPRETAZIONE SPIAZZANTE.
DALILAND
Regia: Mary Harron
Cast: Ben Kingsley, Barbara Sukowa, Christopher Briney, Rupert Graves, Alexander Beyer
Genere: Biografico
Durata: 1014 min. - colore
Produzione: Gran Bretagna (2022)
Distribuzione: Plaion Pictures
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New York, 1973, Salvador Dalì vive al Ritz insieme alla moglie Gala e sta preparando la sua prossima personale. James, un giovane stagista di una galleria, viene scelto da Dalì in persona affinché gli faccia da assistente personale mentre ultima le tele da esporre. James ha così l’occasione di osservare da vicinissimo la parabola discendente di uno dei più grandi artisti di sempre. L’uomo dietro l’artista, che James ha modo di conoscere, è pressoché distrutto: i discorsi di Dalì sono imbevuti in un’insopprimibile angoscia per la morte, conduce uno stile di vita che lo consuma, sia economicamente che emotivamente, mentre il Parkinson galoppante riduce sempre le sue capacità artistiche al lumicino.

Una meravigliosa istantanea degli anni ’70 che mette al centro un Dalì crepuscolare sospeso tra pulsioni di morte, malattia e nodi irrisolti.

Esistono nella storia dell’umanità, e dunque di riflesso nella letteratura, dei personaggi talmente complessi e prismatici da annichilire chiunque tenti di rinchiuderli in una pagina. Quando si ha a che fare con soggetti di questo tipo, il racconto in prima persona è del tutto impensabile, poiché nessun autore, per quanto capace, saprebbe far ordine in una mente che deve la sua stessa genialità al caos. Lo sapeva bene Fitzgerald, che quando si approccia a scrivere la sua opera più celebre, “Il Grande Gatsby”, decide di delegare il ritratto del suo chimerico protagonista a un altro personaggio, Nick Carraway, in modo da poterlo scandagliare dall’esterno. E lo sanno bene anche Mary Harron e suoi sceneggiatori che attraverso il personaggio di James, riescono nella difficile impresa di raccontare sia il Dalì-personaggio che il Dalì-uomo.

Come l’uterque-homo petrarchesco, scisso da terribili dissidi, Dalì ha totalmente perso il contatto con il suo vero io, fuorviato dalla dimensione pubblica, sentimentalmente straziato dai tradimenti di Gala e ossessionato dalla morte. Costretto a dipingere solo per finanziare il suo trimalcionico stile di vita, Mary Harron mette in scena un Dalì sul viale del tramonto, che cerca di aggrapparsi con tutte le sue forze all’amata moglie, ma dalla quale riceve solo tradimenti e rancore.

Tema interessantissimo che Mary Harron sviscera a dovere è quello della sessualità: oltre che cruciale nell’opera di Dalì, il sofferto rapporto con la sua libido ci viene presentato come un vero e proprio leitmotiv della sua vita. Al Ritz di New York, perciò, Dalì si circonda di un serie di modelle-muse che compongono il suo harem della castità: sembra che l’impossibilità dell’atto sessuale sia per Dalì l’ispirazione prima, dal momento che l’immaginazione e l’osservazione sono alla base dell’ispirazione artistica, mentre l’atto pratico, nella sua concreta e brutale attuazione, è spurio da ogni forma di poesia e astrazione.