È STATA LA MANO DI DIO

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TERMINATA
È STATA LA MANO DI DIO
UN'AMARCORD CHE DIVERTE, OMAGGIA I MAESTRI E RICOSTRUISCE CON IL CONSUETO STILE LA GENESI ARTISTICA DI SORRENTINO.
È STATA LA MANO DI DIO
(id)
Regia: Paolo Sorrentino
Cast: Filippo Scotti, Biagio Manna, Renato Carpentieri, Luisa Ranieri, Teresa Saponangelo, Toni Servillo
Genere: Drammatico
Durata: 130 min. - colore
Produzione: Italia (2021)
Distribuzione:
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Fabio è uno dei tre figli di Saverio e Maria, coppia della buona borghesia napoletana, circondata da vicini, parenti e amici che condividono allegria e problemi famigliari. Adolescente incerto sul futuro dopo un diploma di maturità classica ancora da conquistare, Fabio è intimidito dalle donne e innamorato della zia Patrizia, di grande sensualità e di inquietanti allucinazioni. Intorno a lui ruota un caleidoscopio domestico fatto di scherzi materni e stoccate paterne, di un fratello che sogna il cinema e una sorella che vive chiusa in bagno, più i tanti personaggi che costituiscono un teatro partenopeo da far invidia ad Eduardo. Ma questo universo protettivo ed esilarante è destinato a scomparire all’improvviso, creando un vuoto che, forse, potrà essere anche fonte di una nuova libertà creativa.

“Alla fine torni sempre a te e a questa città”, dice il regista Antonio Capuano a Fabio, alter ego cinematografico di Paolo Sorrentino, che con È stata la mano di Dio ripercorre la propria storia famigliare e fornisce il racconto della formazione che l’ha portato a trasferirsi a Roma per diventare regista. Ma Napoli se l’è portata dentro, e solo oggi affronta di petto il suo rapporto con la città, nonché la tragedia della perdita dei genitori ad un’età ancora incerta.

Per la prima metà del racconto È stata la mano di Dio è la ricostruzione pirotecnica di una napoletanità privilegiata e gaudente che si esprime attraverso il gioco (anche delle parti), in un Amarcord che cita Federico Fellini ma anche Sergio Leone e Roberto Rossellini, componendo il pantheon ideale della genesi artistica ed emotiva di Sorrentino autore. Nella seconda metà il regista spegne i fuochi d’artificio e lascia posto all’assenza, depura il suo cinema di ogni ingombro estetizzante per spogliarsi nudo davanti alla realtà della solitudine improvvisa, a tu per tu con quel mondo “deludente” per cui l’unico antidoto è l’immaginazione.

Sorrentino torna a bagnare i panni in quel mare che “non bagna Napoli” per ripescarvi le origini della sua vocazione e rendere omaggio a chi, prima ancora dei Maestri, ha arricchito il suo mondo interiore: un padre istrionico, una madre giocoliera, una zia alienata e provocante, uno zio in grado di interpretare come “la mano di Dio” l’intervento di quel Diego Armando Maradona capace di “atti politici”, come il celebre goal di mano contro l’Inghilterra, e di miracoli quotidiani, come quello di chiamare a sé – “in curva B, naturalmente” – il giovane Fabio, sottraendolo al destino tragico dei suoi genitori.

I virtuosismi registici sorrentiniani, che cominciano con il piano sequenza iniziale ripreso da altezze divine, lasciano il posto alla pochezza dell’esistenza minima di chi ha perso il Paradiso e cercherà di ricostruirlo attraverso la finzione dei set