IN THE MOOD FOR LOVE
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Hong Kong, 1962. I coniugi Chow e i coniugi Chan si trasferiscono lo stesso giorno in due appartamenti contigui. Sono il signor Chow e la signora Chan a rientrare più di frequente a casa ed è così che nel giro di breve tempo scoprono che i rispettivi consorti sono amanti. La volontà di comprendere le ragioni del tradimento subito li porterà a frequentarsi sempre più spesso e a condividere le sensazioni provate.
In the Mood for Love è come una prigione; una romantica, sensuale, impalpabile e atemporale prigione. In cui i gesti si ripetono incessantemente e gli orologi non indicano nulla di significativo sul trascorrere del tempo (a quello ci pensano i dettagli, come il cibo o i vestiti, che aiutano a comprendere il cambio di stagione), ma si limitano al loro ruolo di custodi immoti dello status quo.
Amore e Tempo, ancora una volta, come in Days of Being Wild e come sarà in 2046, film-gemello di In the Mood for Love, così uguale e così differente.
Chow Mo-wan e Su Li-zhen (nome che Wong Kar-wai assegna tanto a Maggie Cheung in Days of Being Wild che a Gong Li in 2046) sono archetipi delle occasioni mancate e dell’amore inespresso, messo in cattività dalle barriere delle convenzioni sociali: loro stessi dal principio non si rendono conto di quel che provano, ossessionati dall’emulazione dei rispettivi fedifraghi consorti (genialmente lasciati da Wong fuoricampo come pretesti, corpi estranei alla narrazione).
Tale è il terrore di vivere un amore in prestito, figlio della vendetta, che il signor Chow e la signora Chan finiscono per non viverne uno intenso e reale, lasciandolo scorrere tra i rivoli dei traslochi e degli anni che passano, mentre nuove mode soppiantano le precedenti e la storia porta De Gaulle in visita in Cambogia. Fatto che di per sé non rappresenta che una mera appendice della ragione reale che conduce Chow alla Cambogia nel ’66, unica possibilità di guardare con il sufficiente distacco spaziale e temporale ai segni lasciati da ciò che (non) è stato.