THE IRISHMAN

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THE IRISHMAN
Il capolavoro-testamento di Martin Scorsese, con De Niro-Pesci-Pacino fuoriclasse senza tempo
THE IRISHMAN
(id)
Regia: Martin Scorsese
Cast: Robert De Niro, Al Pacino, Joe Pesci, Harvey Keitel, Ray Romano, Bobby Cannavale
Genere: Cinema
Durata: 209 min. - colore
Produzione: USA (2019)
Distribuzione: Cineteca di Bologna
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Frank Sheeran è un veterano della Seconda Guerra Mondiale e un autista di camion quando incontra l’uomo del destino, Russell Bufalino, boss della mafia a Filadelfia, che vede in lui il tratto principale di un buon ufficiale: l’affidabilità. Le famiglie di Frank e Russell stringono un’amicizia che va al di là (ma non al di sopra, come vedremo) del business. Russell è così fiero di Frank che lo presenta a Jimmy Hoffa, il capo del sindacato dei camionisti, più popolare di Elvis e dei Beatles messi insieme. Hoffa è vulcanico e brillante, calcolatore e stratega, ma anche affettuoso e seducente. Frank non è immune al suo carisma e diventa il suo guardiaspalle, il suo consigliere e, forse, il suo miglior amico. Il viaggio di questi tre personaggi attraverso gli Stati Uniti e la Storia americana è la stoffa di cui è fatto il cinema.

The Irishman è un’epopea gangster malinconica ed elegiaca, intima e ampia, che stratifica progressivamente tutto quanto sappiamo sul mafia movie, sul cinema di Martin Scorsese, del quale è un compendio (e si spera non un testamento), e sull’abilità recitativa di tre mostri sacri del grande schermo finora mai apparsi tutti e tre insieme.

De Niro (Sheeran) capitalizza sulla sua abilità di aprire spiragli nella maschera indecifrabile di un uomo qualunque; Pesci (Bufalino) gli fa a gara in sottrazione, contraddicendo la sua reputazione di show off; e Pacino (Hoffa) controlla i toni enfatici a favore di un’irresistibile bonomia.

Che l’intento di Scorsese fosse quello di costruire un’anti Quei bravi ragazzi è dichiarato fin dal primo, magnifico piano sequenza, che rispecchia (al contrario) il leggendario “Copa shot” del suo capolavoro del ’90. La cinepresa si addentra lungo i corridoi di una casa di riposo fino a stanare Frank, ormai anziano e confinato ad una sedia a rotelle, che inizia il suo racconto in voce fuori campo (come l’altro irlandese prestato alla mafia in Quei bravi ragazzi) per spiegare a noi e a se stesso (non senza licenza poetica) “come cazzo è iniziato tutto questo”.

Dentro Frank c’è Henry Hill, ma anche il Noodles di C’era una volta in America e il Tom Hagen de Il Padrino, estranei ai legami di sangue dei mafiosi appartenenti alla “stessa razza”. Ci sono i temi più cari a Scorsese – colpa e redenzione – all’interno di un personaggio sempre presente a se stesso, ma così imbevuto della cultura della sopravvivenza e della sopraffazione da ritenersi escluso dal perdono, e immancabilmente costretto a fare ciò che va fatto perché “è così e basta”: il che significa “Così si compie il fato”. The Irishman è una tragedia greca in cui compaiono la predestinazione (dei mafiosi), l’hybris (di Hoffa), la preveggenza di Cassandra (Peggy, la figlia di Frank) e un tradimento doloroso che rimanda a Bruto ma anche a Giuda: siamo fra cattolici italiani e irlandesi, dopotutto.