Smetto quando voglio – Ad Honorem
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È passato un anno da quando la banda di Pietro Zinni è stata colta in flagranza di reato nel laboratorio di produzione Sopox e ognuno dei suoi componenti rinchiuso in un carcere diverso. Da Regina Coeli Pietro continua ad avvertire le autorità che un pazzo ha sintetizzato gas nervino ed è pronto a compiere una strage, ma nessuno lo prende sul serio. Dunque si fa trasferire a Rebibbia per incontrare il Murena, che ha informazioni utili a intercettare lo stragista. Dopodiché Pietro intende rimettere insieme la banda di ricercatori universitari: le menti più brillanti in circolazione in perenne stato di disoccupazione (o detenzione).
Con Smetto quando voglio – Ad Honorem Sydney Sibilia chiude magistralmente una trilogia cinematografica che è un unicum nel panorama italiano.
Un prodotto commerciale strutturato fin dalla sua ideazione come una minisaga ma dettato da un’urgenza narrativa molto personale; un’operazione di cinema industriale che non sacrifica la visione creativa del suo autore; un “reato di difficile configurazione” che aveva altissime possibilità di confinare il regista ai domiciliari di un cinema, come quello italiano, poco portato a rischiare sul nuovo e a confidare nell’intelligenza del pubblico. Sibilia ha inanellato una serie di piccoli miracoli di coerenza narrativa (la sceneggiatura dei tre episodi è sua insieme a Francesca Manieri e Luigi Di Capua), creando personaggi cui ci siamo affezionati e nei quali in qualche misura ci riconosciamo, seminando nel primo episodio ciò che verrà raccolto (e compreso fino in fondo) solo nell’ultimo.
Arriviamo dunque allo specifico del terzo capitolo della minisaga. Ad Honorem ritrova l’ispirazione dell’episodio iniziale, e la temperatura emotiva: quella rabbia impotente di chi, pur avendo raggiunto l’eccellenza, si ritrova superato dai raccomandati in questo Paese “di difficile qualificazione” in cui “tutti sono pronti a dare la colpa a chi ha già pagato”. Tanto i supereroi della banda quanto i loro arcinemici sono vittime di un sistema ingiusto in cui la meritocrazia è una parola buona solo per riempire la bocca dei politici (gli stessi che abbiamo visto aggirarsi alle feste in cui si consumano le droghe inventate dalla banda). Ma Zinni e compagni insistono a combattere contro i mulini a vento, e per questo si guadagnano il nostro rispetto e la nostra simpatia.