CALIBRO 9 – sarà presente il regista TONI D’ANGELO
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Le ‘ndrine dei Corapi e degli Scarfò sono in guerra, e in mezzo a loro finisce l’avvocato penalista Piazza, che aveva ordinato ad una hacker di dirottare un trasferimento fondi da cento milioni rimbalzato attraverso mezzo mondo e si è visto soffiare sotto il naso il bottino dalla hacker stessa. Il bottino apparteneva alla ‘ndrangheta e si sa, “rubare alla mafia è un suicidio”: dunque Piazza è un uomo braccato a livello internazionale. A dargli una mano è Maia Corapi, che è stata la sua compagna molti anni prima, ed ora ha ricevuto l’incarico di proteggerlo. Intorno ai due si aggirano un commissario che “si è stancato di perdere” e un ex carcerato, Rocco Musco, che molto tempo prima ha ucciso l’assassino del padre di Piazza, Ugo.
Se la trama e certi nomi suonano familiari è perché Calibro 9 è il sequel di quel Milano calibro 9 che ha fatto epoca nel 1972.
Non solo i personaggi sono gli eredi di quelli del poliziottesco firmato da Fernando Di Leo, ma il regista Toni D’Angelo e gli sceneggiatori Gianluca Curti (figlio di Ermanno che ha prodotto Milano calibro 9 ed è l’ispiratore di questo progetto), il giallista Luca Podelmengo e il navigato Marco Martani riempiono il loro film di cenni al passato: il protagonista si chiama Fernando e il poliziotto fa di cognome Di Leo, la madre di Fernando, Nelly, è interpretata come nell’originale da Barbara Bouchet (mentre Michele Placido sostituisce Adolfo Celi nel ruolo di Rocco Musco), e via elencando.
Calibro 9 è dunque un dichiarato omaggio al suo predecessore, e un lavoro filologico sul cinema di genere italiano anni Settanta, che tiene conto anche della lezione di Sergio Leone e si appropria di qualche vezzo tarantiniano: del resto Tarantino non fa mistero di considerare Milano Calibro 9 “il miglior poliziesco”. E per citare Tullio Kezich, anche di D’Angelo come di Di Leo è “apprezzabile il piglio professionale”, già evidente nel suo Falchi.
Quel che manca a Calibro 9 è il ritmo narrativo dell’originale, che si esprimeva attraverso un montaggio serrato e scene d’azione ben scadenzate: anche nel film di D’Angelo l’azione è divertente e coreografata, ma manca quella tensione che Di Leo sapeva costruire così bene. In positivo D’Angelo aggiunge un’ironia che non diventa parodistica ma gioca con i riferimenti al passato cinematografico e ai personaggi ereditati dal film precedente.